La storia della cannabis presenta radici antichissime che si ricollegano ad oltre 10 mila anni fa, come sottolineato da numerosi studi condotti in ambito scientifico. Un indizio rilevante che attesta l’esistenza della sua coltivazione in tempi remoti, è stato il ritrovamento di alcuni semi fossilizzati, rinvenuti all’interno di una grotta situata in Romania. Pertanto, gli esperti concordano nell’affermare che l’origine di questa pianta risalga alle prime comunità agricole dell’Asia Centrale. Queste, sin da tempi lontani, avevano la fortuna di beneficiare di una crescita spontanea della cannabis sul loro territorio.
Questo luogo paradisiaco fu la culla dalla quale si diffuse, molto probabilmente, la coltivazione della cannabis verso altre regioni del globo. Il percorso di questa diffusione iniziò con la Cina per poi espandersi verso l’Africa, l’Europa e l’America.
Tale diffusione è ritenuta essere connessa agli spostamenti delle società umane. Queste società viaggiavano, commerciavano e portavano con sé sia le conoscenze agricole che le risorse naturali della regione di origine.
Gli archeologi hanno scoperto un antico villaggio sull’isola di Taiwan, al largo delle coste cinesi. Questo villaggio ha portato alla luce i ritrovamenti più antichi che dimostrano l’uso della canapa da parte dell’uomo. Risalente a circa 10mila anni fa, questo villaggio ha rivelato numerosi reperti che attestano l’importanza di questa pianta nella vita quotidiana degli antichi abitanti. Tra i resti della città, gli archeologi trovarono cocci di ceramica, il cui decoro consisteva in corda intrecciata e bagnata con argilla ancora fresca. Trovarono anche degli strumenti allungati, molto simili a quelli utilizzati per separare le fibre di canapa dai loro steli.
Le fonti scritte
Questi reperti hanno condotto i ricercatori a concludere che l’uso della canapa risale ai primi tempi della storia umana. Non solo i ritrovamenti archeologici, ma anche antichi manoscritti cinesi accennano alle piantagioni di canapa e all’arte della filatura. La canapa, infatti, veniva utilizzata per creare indumenti e corde. Queste testimonianze scritte confermano l’importante ruolo svolto dalla canapa nella società di quei tempi lontani.
Secondo quanto riportato, sembra che il primo utilizzo documentato della cannabis a scopo medicinale risalga all’antica Cina, nell’anno 2737 a.C., attribuito all’imperatore Shen Nung. Si dice che egli abbia scritto un trattato di farmacologia in cui menziona anche la cannabis, chiamata Ma nella lingua cinese. Ne ha consigliato l’uso per il trattamento di vari disturbi come disordini femminili, gotta, reumatismo, malaria, stipsi e debolezza mentale. Circa nel duemila a.C., sembra che anche gli antichi egizi abbiano cominciato a utilizzare questa pianta a fini medicinali, in particolare per curare gli occhi irritati. In un papiro medico chiamato Ebers, sono suggeriti diversi rimedi che includono l’uso di cannabis triturata nel miele. Altri papiri egiziani testimoniano l’utilizzo di questa sostanza come medicinale.
Nel corso dello stesso periodo storico, si assistette all’invasione da parte degli ariani. Essi erano un antico popolo nomade che aveva la tradizione di utilizzare la cannabis come droga, nel Subcontinente indiano. Questo evento potrebbe essere stato determinante per l’introduzione delle proprietà benefiche della pianta in India. I sacri Veda fanno riferimento a una sostanza utilizzata per scopi cerimoniali. In particolare, nell’Atharva Veda, si menziona una pianta che possiede la capacità di “liberare dall’ansia”.
Le caratteristiche descritte sono in linea con i potenziali effetti della cannabis. Inoltre, la canapa era anche profondamente radicata nell’antica pratica medica ayurvedica, che ha avuto manifestazioni fino ai tempi moderni. Infatti, la si impiegava come rimedio contro la lebbra e per favorire il sonno e combattere il malumore. Nelle Storie dello storico greco Erodoto, scritte nel V secolo a.C, si trova menzione degli sciiti, nomadi iriani, che secondo gli studiosi, diffusero la cannabis nel Nord Europa.
Inoltre, anche Plinio e Marco Polo riportano informazioni sulla coltivazione della cannabis, e molte testimonianze indicano che questa sostanza si diffuse attraverso le migrazioni delle tribù nomadi provenienti dall’Asia Centrale che raggiunsero il Mediterraneo e l’Europa. Si ritiene che la cannabis fosse utilizzata sia come fibra che a scopo ricreativo. Inoltre, anche il trattato del medico di Nerone del 70 d.C, e il documento di Galeno del II secolo menzionano la canapa. Quest’ultimo indica la canapa come rimedio contro disturbi come l’aria nello stomaco, il mal d’orecchi e altri tipi di dolore.
Il Medioevo
Durante il periodo medievale, la coltivazione e la diffusione della cannabis continuano prosperando. Soprattutto a causa dell’enorme domanda di corde, che risultano indispensabili per le flotte italiane, in particolare quella di Venezia, ed europee. Durante il Medioevo, la canapa si ergeva indiscutibilmente come la fibra più ampiamente utilizzata. Si impiegava principalmente per la produzione di cordame e, in parte, anche per i tessuti, specialmente per la confezione dei preziosi corredi matrimoniali delle spose, i quali includevano tovaglie, asciugamani, lenzuola e coperte di grande valore.
È interessante notare come spesso si mescolasse sapientemente la canapa con altre preziose fibre, come lana e lino, al fine di ottenere un tessuto ancor più pregiato ed esteticamente apprezzabile. La popolazione equiparava la canapa a una sorta di maiale vegetale, poiché, come avveniva con la carne di maiale, ne utilizzavano tutte le parti. Le sue radici trovavano impiego per accendere il fuoco, mentre il canapulo, opportunamente imbevuto di zolfo, si trasformava in comodi fiammiferi. I semi, da parte loro, erano fondamentali per l’alimentazione animale. Per la produzione di corde indispensabili per le diverse attività agricole, così come per le reti da pesca, si utilizzava la fibra, soprattutto per la confezione di tessuti utilizzati per biancheria domestica, sacchi per farine e cereali e abbigliamento
Durante il XIII secolo, il pontefice Papa Giovanni XXI, una figura eccezionale in quanto era anche un medico esperto, si trovò a promuovere l’impiego terapeutico della cannabis come rimedio contro l’otite all’interno di un trattatello di medicina. Tuttavia, il potere ecclesiastico legato al Cristianesimo emerse e si espanse all’interno dell’Europa medievale, sopprimendo e cancellando diversi culti e pratiche, incluso l’uso della cannabis, che il Sacro Romano Impero proibì in molteplici regioni europee.
La cannabis, una volta conosciuta per le sue proprietà curative e terapeutiche, subì così una repressione iniziata con le imposizioni di Papa Innocenzo VIII nel 1484. Egli condannò la pianta come malefica e proibì il suo utilizzo nella produzione di medicinali. Nonostante le restrizioni imposte dal pontefice, la diffusione della cannabis non poté essere fermata nel Nord Europa, dove continuò a trovare impiego anche a fini medici.
Questa controversia storica evidenzia la complessità delle dinamiche religiose e politiche che caratterizzavano il periodo medievale. Nonostante le influenze della Chiesa e dell’autorità papale, la cannabis era talmente radicata nella cultura e nella tradizione europea che nemmeno divieti e repressioni potevano fermare la sua diffusione. Il suo utilizzo terapeutico, ritenuto benefico da alcuni e demonizzato da altri, sopravviveva e si diffuse, sfidando le imposizioni delle istituzioni religiose e lasciando un segno significativo nella storia dell’uso delle piante medicinali.
È Napoleone Bonaparte a rivitalizzare il ruolo centrale della cannabis nella storia quando, nel 1798, decide di invadere l’Egitto per indebolire la Gran Bretagna. Durante l’occupazione francese, i soldati fanno una scoperta sorprendente: la cannabis. In seguito a questa scoperta, l’imperatore emana un decreto che proibisce il consumo del “forte liquore prodotto dai musulmani con una pianta chiamata Hashish” e il fumo delle foglie di cannabis. Tuttavia, nonostante il divieto, i soldati portarono queste due sostanze in Europa, dove si diffusero rapidamente per via dei loro effetti psicoattivi, soprattutto tra gli scrittori francesi che si lasciano affascinare dai loro poteri allucinogeni.
La cannabis, grazie all’introduzione del medico irlandese William Brooke O’Shaughnessy, trovò diffusione occidentale come strumento terapeutico. O’Shaughnessy, dopo aver studiato le applicazioni medicinali della pianta durante il suo periodo in India, pubblicò articoli in cui raccomandava l’uso terapeutico della cannabis. Nel 1839, egli sottolineò i benefici della sostanza nel trattamento di reumatismi, epilessia e tetano, definendola “il perfetto rimedio anticonvulsivo”. Quando ritornò in Inghilterra nel 1841, O’Shaughnessy introdusse la cannabis indica nella medicina occidentale. Ben presto la pianta si diffuse anche negli Stati Uniti per il trattamento di diverse malattie. Questo dimostra che lungo la storia, si è utilizzato la cannabis in vari contesti. La conoscenza e l’utilizzo di questa pianta risalgono a migliaia di anni fa, e oggi sta tornando ad essere oggetto di dibattito medico e scientifico.
Il proibizionismo
Gli Stati Uniti hanno adottato un forte e deciso approccio di proibizione che ha influenzato il resto del mondo. Durante il periodo compreso tra il 1920 con il Volstead Act e il 1933, fu vietato il consumo di alcolici negli USA. Nonostante il fallimento del proibizionismo sull’alcol, si è successivamente promosso un secondo movimento di proibizione nei confronti della cannabis. Già negli anni tra il 1912 e il 1925, all’International Opium Convention, l’esportazione di cannabis indiana verso i Paesi che ne avevano vietato l’uso come sostanza era bandita. In quel periodo, in tutto il mondo iniziavano ad essere introdotte restrizioni più o meno regolamentate.
A causa di un clima di diffidenza generale, la cannabis e i suoi derivati cominciarono a essere demonizzati dalla stampa e dal giornalismo. Diversi fattori contribuirono a quest’atmosfera di sospetto nei confronti della cannabis, che venne ribattezzata marijuana. Uno dei primi elementi di carattere razziale fu il cambio di nome stesso. Negli anni Venti, Emiliano Zapata e Pancho Villa portarono avanti la rivoluzione messicana e molti immigrati messicani arrivarono negli Stati Uniti. L’uso di cannabis era associato agli immigrati latinoamericani, ed era diffuso anche tra i musicisti jazz afroamericani della Louisiana. Da qui nacque l’iniziativa, soprattutto da parte dei media, di cambiare il nome della sostanza da “hemp” a “marijuana” (o “marihuana”). L’obiettivo era quello di trovare un termine facilmente identificabile con le etnie ispaniche e afroamericane.
Il proibizionismo in Italia
Anche in Italia la proibizione della canapa ha avuto un rapido aumento, nonostante ci fossero numerose attività legate alla sua produzione e commercio nel paese. Nel 1870, il neonato stato italiano ha istituito a Milano il Linificio e Canapificio Nazionale, costruendo nel 1906 un moderno stabilimento per la lavorazione della canapa a Lodi. Nel 1918 il Ministero dell’Industria ha registrato a Milano il sindacato dei Filatori e Tessitori di Canapa. Invece nel 1925 Benito Mussolini ha elogiato la canapa come una produzione autarchica per eccellenza, destinata a liberarci il più possibile dal gravoso tributo che ancora dobbiamo verso l’estero nel settore delle fibre tessili.
In Italia, durante gli anni Trenta, la popolazione sviluppò un atteggiamento dispregiativo nei confronti della marijuana, come era già accaduto negli Stati Uniti. La sostanza venne criminalizzata, l’hashish fu etichettato come “nemico della razza” e “droga da n**ri”, incorporando una visione che combinava proibizionismo e razzismo, come avvenuto negli USA. Nel 1930, il governo la inserì nell’elenco delle “sostanze velenose aventi azione stupefacente” nel Codice penale, mentre nel 1931 il libro di Giovanni Allevi, intitolato “Gli Stupefacenti, contrabbando e traffici clandestini, tossicomanie e difesa della razza”, presentava la tossicomania come un pericolo per la razza. Piero Mascherpa, nel 1935, attraverso il suo Trattato di Tossicologia, continuò la campagna di criminalizzazione della cannabis, affermando che portasse al “disfacimento completo dell’organismo”.
Nel 1954, il governo italiano introdusse una nuova legislazione sulle droghe, seguendo l’esempio dell’amministrazione Truman oltre oceano. Successivamente, nel 1975, sotto il governo Moro, arrivò la Legge Cossiga, in cui venne reintrodotta la distinzione tra consumo e spaccio, punendo solo quest’ultimo con la reclusione, e fu definita la “modica quantità”.
Il ventesimo secolo
Nel 1990, il governo Craxi, ha emanato il D.P.R. 9 ottobre 1990, n° 309, noto come Legge Iervolino-Vassalli. Questa legge ha provocato intense contestazioni a causa delle pene detentive applicate sia per lo spaccio che per l’uso personale di droghe leggere e pesanti. Pertanto, nel 1993, un referendum promosso dai radicali di Marco Pannella abrogò le parti più controverse. Successivamente, la Corte costituzionale bocciò il referendum programmato nel 1996, il quale era volto a rimuovere la cannabis dalla lista delle sostanze vietate, ma considerato essere in conflitto con i trattati internazionali del 1961.
Nel 2006, i parlamentari della maggiornaza del governo Berlusconi III, Fini e Giovanardi approvarono un’altra legge controversa, nota come legge Fini-Giovanardi. Questa legge eliminava la distinzione tra droghe leggere e pesanti. Successivamente, nel 2014, fu abrogata per incostituzionalità.
Attualmente, in Italia, il governo ha reintrodotto la distinzione tra droghe leggere e pesanti, ma le autorità sanzionano e puniscono sia lo spaccio che il consumo.
Legalizzazioni e liberazioni
Durante il Novecento, il divieto sulla cannabis è stato prevalente, ma alcuni Paesi hanno iniziato a rompere questo paradigma prima della sua fine effettiva. I Paesi Bassi sono stati i precursori della legalizzazione, consentendo l’acquisto e il consumo limitato di cannabis in luoghi chiamati Coffee Shop già dal 1972. Il Portogallo, invece, non ha legalizzato l’uso di cannabis, ma ha declassato il reato a un’infrazione amministrativa nel 2000. L’Uruguay ha legalizzato la marijuana nel 2013, diventando così il primo Paese a farlo. Nel 2014, gli Stati Uniti seguirono la decisione dell’Uruguay, e consentirono al consumo ricreativo in alcuni stati. Infine, il Canada è diventato il primo Paese del G7 a legalizzare la cannabis in tutto il territorio nel 2018. Nel 2020, l’ONU ha parzialmente modificato la classificazione della cannabis, rimuovendola dalla lista delle sostanze senza valore terapeutico.



