La Cannabis Medica

La Cannabis Medica

La cannabis utilizzata in campo medico è una pianta di canapa che contiene tetraidrocannabinolo in quantità superiore allo 0,2% ed è distinta dalla canapa utilizzata per scopi industriali. Le diverse varietà e tipologie di cannabis presentano concentrazioni variabili dei principi attivi farmacologici e, conseguentemente, generano effetti differenti.

La cannabis medica, o marijuana medica (MMJ), è un composto a base di cannabis e cannabinoidi che viene prescritto dai medici ai propri pazienti. A causa delle restrizioni governative sulla produzione e sull’uso della cannabis, le autorità competenti hanno dovuto limitare le ricerche cliniche per determinare l’efficacia e la sicurezza di questa sostanza.

Esistono prove preliminari che suggeriscono che la cannabis possa aiutare a ridurre la nausea e il vomito durante la chemioterapia, nonché a ridurre il dolore cronico e gli spasmi muscolari. Tuttavia, una ricerca del 2021 sulle forme di assunzione diverse dall’inalazione di cannabis ha rilevato che forniscono scarso sollievo per il dolore cronico e i disturbi del sonno. Possono però causare effetti avversi transitori come deterioramento cognitivo, nausea e sonnolenza.

L’uso a breve termine della cannabis può aumentare il rischio di effetti avversi sia minori che più gravi. Tra gli effetti collaterali comuni vi sono vertigini, affaticamento, vomito e allucinazioni. Gli effetti a lungo termine della cannabis non sono ancora chiari, ma alcune preoccupazioni includono:

  • Problemi di memoria e di cognizione
  • Rischio di dipendenza
  • Lo sviluppo di schizofrenia nei giovani
  • Il potenziale rischio che i bambini possano assumere accidentalmente la sostanza.

È comunque importante notare che molte culture hanno utilizzato la cannabis a scopo terapeutico per migliaia di anni.

La somministrazione della cannabis terapeutica può avvenire attraverso vari metodi, includendo:

  • capsule,
  • losanghe,
  • tinture,
  • cerotti da applicare sulla pelle,
  • spray da assumere per via orale o da applicare sulla pelle,
  • prodotti a base di cannabis da ingerire,
  • vaporizzazione o il fumo delle cime essiccate.

Inoltre, esistono cannabinoidi sintetici, come il dronabinol e il nabilone, che possono essere prescritti in alcuni Paesi. Diversi Paesi nel mondo hanno legalizzato l’uso medico della cannabis a pianta intera, tra cui: Argentina, Australia, Canada, Cile, Colombia, Germania, Grecia, Israele, Italia, Paesi Bassi, Perù, Polonia, Portogallo, Spagna e Uruguay. Gli Stati Uniti, hanno approvato l’uso medico della cannabis in 38 stati e nel Distretto di Columbia, a partire dall’approvazione della Proposition 215 della California nel 1996.

Tuttavia, è importante notare che l’uso della cannabis rimane illegale a livello federale negli Stati Uniti. Nonostante ciò, nel dicembre 2014 è stato introdotto l’emendamento Rohrabacher-Farr. Questo emendamento ha limitato la capacità di applicazione della legge federale negli stati in cui l’uso medico della cannabis è stato legalizzato.

Classificazione

In base alle dichiarazioni del National Institute on Drug Abuse, il concetto di cannabis medica si riferisce all’utilizzo non trasformato della pianta di marijuana o dei suoi estratti di base al fine di alleviare i sintomi di diverse malattie e condizioni. È importante notare che una pianta di cannabis contiene oltre 400 sostanze chimiche diverse, di cui circa 70 sono cannabinoidi, a differenza dei farmaci tradizionali approvati dal governo che solitamente contengono solo una o due sostanze chimiche. Questa diversità di sostanze chimiche attive nella cannabis rappresenta una delle ragioni per cui il trattamento a base di cannabis è complesso da classificare e studiare.

Uno studio del 2014 ha affermato che le variazioni nel rapporto tra CBD (cannabidiolo) e THC (tetraidrocannabinolo) nelle preparazioni botaniche e farmaceutiche influenzano gli effetti terapeutici rispetto a quelli psicoattivi dei prodotti a base di cannabis. È emerso infatti che il CBD ha la capacità di attenuare gli effetti psicoattivi del THC.

Usi Medici

Nel complesso, la ricerca sugli effetti sulla salute della cannabis terapeutica non è stata molto accurata e non è chiaro se l’assunzione di cannabis possa essere un trattamento utile per qualsiasi condizione o se in alcuni casi i danni superino i benefici. Non ci sono prove coerenti sul fatto che aiuti con il dolore cronico e gli spasmi muscolari, anche se alcune ricerche sembrano indicarlo.

Prove di bassa qualità suggeriscono il suo utilizzo per ridurre la nausea durante la chemioterapia, migliorare l’appetito nei pazienti affetti da HIV/AIDS, migliorare il sonno e attenuare i tic nella sindrome di Tourette. I cannabinoidi sono raccomandati anche per anoressia, artrite, glaucoma ed emicranea, nel caso in cui i trattamenti medici più comuni siano risultati inefficaci.

Gli Stati Uniti sembrano addirittura poter mitigare gli effetti negativi dell’epidemia di oppiacei che sta colpendo il Paese da decenni. Questo obiettivo può essere raggiunto prescrivendo la cannabis medica come farmaco alternativo per la gestione del dolore. Sembrerebbe, infatti,  che a prescindere dalla quantità e dai metodi di assunzione, la cannabis non possa dare la stessa dipendenza che provoca un derivato dall’oppio.

La cannabis non dovrebbe essere usata in gravidanza.

Nausea e Vomito

La cannabis medica mostra una certa efficacia nel trattamento dei sintomi di nausea e vomito causati dalla chemioterapia. Essa è considerata un’opzione valida per coloro che non migliorano dopo un trattamento medico considerato standard. Studi comparativi hanno dimostrato che i cannabinoidi sono più efficaci di alcuni farmaci antiemetici convenzionali come proclorperazina, prometazina e metoclopramide nel controllo di questi sintomi. Ma il loro utilizzo è meno frequente a causa degli effetti collaterali come vertigini, disforia e allucinazioni. Tuttavia, l’uso a lungo termine di cannabis può causare nausea e vomito, una condizione chiamata sindrome da iperemesi da cannabinoidi (CHS) e quindi peggiorare la condizione del paziente. Si vede chiaramente come diversi studi scientifici danno risultati parzialmente contrastanti. Per questo è difficile stabilire la reale capacità della cannabis di curare questi disturbi.

Una revisione Cochrane condotta nel 2016 ha affermato che i cannabinoidi erano “probabilmente efficaci” nel trattamento della nausea indotta dalla chemioterapia nei bambini. Tuttavia comportavano una serie di effetti collaterali significativi, tra cui principalmente sonnolenza, vertigini, alterazioni dell’umore e aumento dell’appetito. I ricercatori hanno riscontrato anche effetti collaterali meno comuni come problemi agli occhi, ipotensione ortostatica, contrazioni muscolari, prurito, confusione, allucinazioni, stordimento e secchezza della bocca.

HIV/Aids

Non esistono evidenze sufficienti che dimostrino l’efficacia e la sicurezza dell’uso della cannabis per il trattamento dei sintomi di HIV/AIDS o per l’anoressia associata alla malattia. Gli studi condotti fino al 2013 presentano importanti limitazioni, tra cui la presenza di evidenti bias, campioni di dimensioni ridotte e l’assenza di dati a lungo termine. Inoltre, non risulta ancora chiara l’eventuale efficacia di questi composti nel migliorare i sintomi specifici di queste condizioni. Inoltre, le dosi e le modalità di somministrazione ottimali non sono ancora definite. Pertanto, ulteriori ricerche sono necessarie per determinare in modo più completo se la cannabis possa rappresentare una vera opzione terapeutica per questa malattia.

Dolore

Un’analisi critica condotta nel 2021 ha riscontrato che l’utilizzo della cannabis non inalata come metodo per lenire il dolore cronico è poco efficace come metodo di trattamento.

In base a una ricerca sistematica del 2019, sono emersi risultati inconcludenti sulla sua efficacia come trattamento per il dolore neuropatico, gli spasmi correlati alla sclerosi multipla e il dolore derivante da patologie reumatiche. Non si è potuto stabilire se è efficace o meno, ma i ricercatori hanno dimostrato che la cannabis non si mostrava efficace nel trattamento del dolore cronico causato dal cancro. Gli autori di tale studio sottolineano pertanto la necessità di condurre ulteriori ricerche controllate e randomizzate su diversi prodotti a base di cannabis al fine di formulare delle conclusioni definitive e fare raccomandazioni basate su dati solidi.

Quando la cannabis viene inalata per alleviare il dolore, i livelli dei cannabinoidi nel sangue aumentano più rapidamente rispetto all’utilizzo di prodotti a base di cannabis assunti per via orale, raggiungendo il picco massimo entro tre minuti e manifestando un effetto analgesico significativo entro sette minuti dall’assunzione.

Uno studio di ricerca del 2011 ha dichiarato che l’utilizzo della cannabis è generalmente sicuro e sembra risultare più innocuo rispetto all’utilizzo di oppiacei nelle cure palliative.

Tuttavia, una recente revisione del 2022 ha concluso che il sollievo dal dolore sperimentato dopo l’uso di cannabis a fini terapeutici è da attribuire principalmente all’effetto placebo, soprattutto considerando l’ampia copertura mediatica che l’utilizzo di tale sostanza ad uso medico sta avendo, che crea aspettative di sollievo dal dolore.

Disturbi Neurologici

Non è ancora conclusiva la valutazione dell’efficacia della cannabis nel trattamento di disturbi neurologici, tra cui la sclerosi multipla, e problemi di movimento. Tuttavia, sembra che l’uso di estratti di cannabis assunti per via orale sia in grado di ridurre la spasticità nei pazienti affetti da tali problemi. Pertanto, qualora i trattamenti convenzionali non abbiano sortito gli effetti desiderati, l’opzione di ricorrere alla cannabis può essere considerata ragionevole. Inoltre, l’uso della cannabis per la sclerosi multipla è stato approvato in dieci Paesi, il che ne conferma una credibilità nel campo medico dell’uso di questa sostanza. È importante notare che una ricerca condotta nel 2012 non ha riportato problemi di tolleranza, abuso o dipendenza legati all’uso della cannabis nel contesto della sclerosi multipla. D’altro canto, negli Stati Uniti, il cannabidiolo è stato approvato per il trattamento di due gravi forme di epilessia, la sindrome di Lennox-Gastaut e la sindrome di Dravet.

Effetti Collaterali

Non ci sono informazioni sufficienti per trarre conclusioni definitive sulla sicurezza della cannabis terapeutica. In generale, gli effetti indesiderati dell’uso di cannabis a scopo terapeutico non sono gravi. Possono includere stanchezza, vertigini, aumento dell’appetito ed effetti sia cardiovascolari che psicoattivi. Altri possibili effetti comprendono problemi di memoria a breve termine, compromissione della coordinazione motoria, giudizio alterato e paranoia o psicosi a dosi elevate. Tuttavia, la tolleranza a questi effetti tende a svilupparsi nel corso di alcuni giorni o settimane. Inoltre, tali effetti collaterali e la loro intensità andrebbero comparati con i comprovati effetti collaterali che potrebbero essere causati dai farmaci che la cannabis medica va a sostituire nel caso in cui i fermaci si siano rivelati inefficaci.

Si ritiene che l’uso normale di cannabis a scopo medico non causi danni cognitivi permanenti negli adulti. Si consiglia però di valutare attentamente l’uso a lungo termine negli adolescenti, in quanto sono più vulnerabili a questi disturbi. Quando il medico somministra la cannabis terapeutica, l’insorgenza di sintomi di astinenza è raramente un problema. La capacità di guidare veicoli o usare macchinari può essere compromessa fino a quando non si sviluppa una tolleranza. Nonostante le affermazioni dei sostenitori della cannabis terapeutica sulla sua sicurezza, sono necessarie ulteriori ricerche per valutare l’incolumità a lungo termine del suo utilizzo.

Effetti Cognitivi

Secondo i risultati di numerosi studi condotti fino ad oggi, è stato dimostrato che l’utilizzo ricreativo della cannabis può portare a deficit cognitivi, in particolar quando il suo consumo inizia durante l’adolescenza. Tuttavia, è importante notare che al momento mancano ricerche specifiche sugli effetti a lungo termine sull’aspetto cognitivo derivanti dall’uso medico della cannabis a partire dal 2021.

Nonostante questa lacuna, uno studio osservazionale condotto su un periodo di 12 mesi ha rilevato che i pazienti che utilizzano cannabis a scopo medico hanno mostrato miglioramenti significativi in termini di misurazioni della funzione esecutiva e dello stato clinico nel corso di tale periodo. Questi risultati sono particolarmente interessanti in quanto suggeriscono che l’uso terapeutico della cannabis potrebbe avere effetti positivi sulla capacità cognitiva delle persone.

Tuttavia, è importante considerare che questo studio osservazionale non è sufficiente a stabilire un nesso causale tra l’uso medico della cannabis e i suoi effetti positivi sulla funzione cognitiva. Ulteriori ricerche sono necessarie per confermare tali risultati e comprendere appieno gli effetti a lungo termine dell’uso medico della cannabis sulle capacità cognitive delle persone.

L’impatto sulla psicosi

Secondo uno studio condotto nel 2007, il THC può causare sintomi psicotici sia in individui sani che in persone con schizofrenia. Questo studio ha anche scoperto che l’uso di cannabis fa abbassare l’età media di manifestazione della psicosi di 2,7 anni rispetto a chi non la consuma. Un’altra analisi condotta nel 2005 ha ulteriormente confermato queste conclusioni, evidenziando che l’uso di cannabis tra gli adolescenti aumenta il rischio di sviluppare psicosi, con una relazione diretta tra quantità di cannabis consumata e rischio. Una revisione del 2004 ha rilevato un raddoppio del rischio di sviluppare psicosi legato all’uso di cannabis, ma ha anche sottolineato che tale uso non può essere considerato né necessario né sufficiente per causare psicosi. Infine, uno studio francese del 2009 ha concluso che l’uso di cannabis, soprattutto prima dei 15 anni, è un fattore determinante nello sviluppo della schizofrenia.

Farmacologia

La famiglia vegetale conosciuta come Cannabis comprende due specie, ovvero Cannabis indica e Cannabis sativa. Queste sono note per il loro potenziale nella produzione di cannabinoidi psicoattivi. Tali specie sono riconosciute come piante medicinali di grande importanza, tanto che sono elencate come tali nella Tabella I negli Stati Uniti. Al contrario, una terza specie denominata Cannabis ruderalis, presenta poche proprietà psicogene.

Ciò che rende la cannabis così interessante dal punto di vista chimico è la sua composizione, che conta più di 460 composti diversi. Tra questi, almeno 70 sono cannabinoidi, ovvero sostanze chimiche in grado di interagire con i recettori dei cannabinoidi presenti nel cervello. Dagli studi avviati nel 2012 da parte della Food and Drug Administration degli Stati Uniti, è emerso che oltre 20 cannabinoidi sono stati analizzati in dettaglio.

Il principale cannabinoide psicoattivo che si può trovare all’interno della pianta di cannabis è il delta-9-tetraidrocannabinolo, noto come THC. Altri cannabinoidi presenti sono il delta-8-tetraidrocannabinolo, il cannabidiolo (CBD), il cannabinolo (CBN), il cannabiciclolo (CBL), il cannabicromene (CBC) e il cannabigerolo (CBG). Mentre questi ultimi hanno effetti psicotropi meno marcanti rispetto al THC, potrebbero comunque contribuire all’effetto generale della cannabis. Fra i cannabinoidi, quelli più approfonditamente studiati in questo momento sono il THC, il CBD e il CBN.

Nel cervello umano, recettori CB1 e CB2 rappresentano i principali recettori dei cannabinoidi. Essi sono responsabili di molti degli effetti che tali sostanze possono avere sull’organismo. Bisogna però sottolineare che anche altri recettori potrebbero svolgere un ruolo significativo. I recettori CB1, presenti in quantità elevate nel cervello, sembrano essere quelli a cui vanno attribuiti gli effetti psicoattivi. Al contrario, i recettori CB2 si trovano diffusi perifericamente in tutto il corpo, e si ritiene che abbiano un ruolo nella modulazione del dolore e dell’infiammazione.

Somministrazione

Il fumo è spesso il metodo principale per il consumo della cannabis,  ma questo metodo non è adeguato all’uso terapeutico della sostanza. Infatti, fino al 2013, il fumo era il modo più comune per assumere la cannabis a fini medicinali. Tuttavia era difficile prevedere l’effetto della cannabis per via delle diverse concentrazioni di cannabinoidi dovute alla varietà di modi di assunzione. Inoltre, la mancanza di controlli sulla produzione rendeva ancora più complicato determinare la qualità e l’efficacia del prodotto. La possibilità di effetti avversi derivanti dall’inalazione del fumo rendeva quest’opzione meno praticabile rispetto ai preparati orali. Pertanto, molte persone si sono orientate verso l’utilizzo di vaporizzatori di cannabis. Ritenevano, infatti, che inalando gli ingredienti mediante aerosol si esponessero a meno sostanze chimiche nocive rispetto al fumo.

Ci sono farmaci cannabinoidi in pillole (es. dronabinol, nabilone) o estratti liquidi spray (es. nabiximols) disponibili come alternative.

Tuttavia, le preparazioni orali presentano delle problematiche. Queste possono essere legate:

  • Ai tessuti adiposi che assorbono i cannabinoidi, e che vengono poi rilasciati gradualmente nel tempo.
  • Al significativo metabolismo epatico di primo passaggio, che decompone il Δ9THC contribuendo a ulteriori variazioni nelle concentrazioni plasmatiche.

Lo status legale

I paesi che hanno dato il permesso legale per l’uso medicinale della cannabis includono Argentina, Australia, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Costa Rica, Croazia, Cipro, Repubblica Ceca, Finlandia, Germania, Grecia, Israele, Italia, Giamaica, Libano, Lussemburgo, Malta, Marocco, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Macedonia del Nord, Panama, Perù, Polonia, Portogallo, Ruanda, Spagna, Sri Lanka, Svizzera, Tailandia, Regno Unito e Uruguay. Altri paesi hanno leggi più stringenti che permettono solo l’uso di farmaci contenenti cannabinoidi come Sativex o Epidiolex.

I paesi con politiche meno restrittive includono Canada, Paesi Bassi, Tailandia e Uruguay, dove la cannabis può essere acquistata senza prescrizione medica. In Messico la cannabis usata a scopo terapeutico è limitata all’1% di contenuto di THC. Negli Stati Uniti, ogni stato decide se rendere legale l’uso medicinale della cannabis.

La cannabis e i suoi derivati sono soggetti alla regolamentazione di tre trattati delle Nazioni Unite:

  1. La Convenzione unica sugli stupefacenti del 1961.
  2. La Convenzione sulle sostanze psicotrope del 1971.
  3. La Convenzione contro il traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope del 1988.

La cannabis è classificata come una droga nella Tabella I secondo il trattato della Convenzione Unica, il che significa che l’uso medico è consentito ma è considerata una droga con rischio di dipendenza e abuso, insieme ad altre droghe come l’oppio e la cocaina. Prima di dicembre 2020, era anche inclusa nella Tabella IV, che comprende le droghe più pericolose come l’eroina e il fentanil. Il 2 dicembre 2020, i membri della Commissione delle Nazioni Unite sugli stupefacenti hanno votato 27-25 per rimuovere la cannabis dalla Tabella IV, in seguito a una raccomandazione dell’Organizzazione mondiale della sanità nel gennaio 2019.

Conclusione

La cannabis medica è un campo che spesso suscita confusione, e molte persone non comprendono appieno cosa significhi. Innanzitutto, va sottolineato che la cannabis medica si riferisce all’uso della pianta di cannabis o dei suoi composti per trattare condizioni mediche specifiche. Questo non significa che chiunque possa semplicemente usare la cannabis a scopo terapeutico senza una prescrizione o la supervisione di un professionista medico. È un trattamento medico con l’obiettivo di alleviare i sintomi o migliorare la qualità di vita dei pazienti con condizioni gravi o croniche.

Inoltre, è importante notare che, quando si parla di cannabis medica, spesso ci si concentra eccessivamente sul tetraidrocannabinolo (THC), il composto psicoattivo della cannabis. Tuttavia, c’è un altro composto altrettanto rilevante, il cannabidiolo (CBD), che non ha effetti psicoattivi ed è noto per i suoi potenziali benefici terapeutici. I ricercatori hanno studiato il CBD per il suo potenziale nell’alleviare l’ansia, ridurre l’infiammazione e gestire le convulsioni, tra molti altri usi medici.

In breve, la cannabis medica rappresenta una forma di terapia che utilizza i composti della pianta di cannabis per trattare specifiche condizioni mediche. Questo approccio richiede una prescrizione medica e una supervisione adeguata. Inoltre, è importante considerare sia il THC che il CBD, poiché entrambi possono avere un ruolo significativo nei trattamenti medici. La chiave per una comprensione completa e responsabile della cannabis medica risiede nella conoscenza e nella consulenza medica appropriata.

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